"Da non crederci, proprio durante la mia prima vacanza in Sicilia mi sono ritrovato ad incrociare dei veri mafiosi: quattro energumeni si agitavano attorno ad una potente Alfa e proprio dentro l'auto stava seduto un Boss mafioso!"
Una volta chiesto al nostro viaggiatore come facesse a sapere che si trattasse effettivamente di mafiosi, riceviamo la risposta: "Be', perché era proprio come nei film!"
Ecco che "Il Padrino" fa nuovamente capolino come ogni altra volta che si parla di Mafia...
Chiariamo una cosa una volta per tutte: la probabilità di vedere in Sicilia la Mafia in azione, o addirittura un Boss in carne ed ossa, è praticamente nulla.
Da un lato perché di Boss mafiosi vecchia scuola ne è rimasto soltanto uno ed è da anni costretto a nascondersi a causa delle pressanti ricerche delle autorità. Dall'altro perché la nuova Mafia ha imparato ad agire discretamente e in tranquillità dietro le quinte, lontano dai riflettori. Inoltre per quest'ultimo tipo di Mafia in Sicilia è rimasto davvero ben poco da arraffare.
Il Nord Italia e l'Europa tutta sono infatti diventati dei campi da gioco economicamente molto più interessanti. Il delitto mafioso di Duisburg in Germania nel 2007 parla da sé, anche se vittime e carnefici non erano siciliani ma calabresi. In Sicilia invece di certe faide interne alla "Padrino" non se vedono dagli anni '80.
Non c'è quindi da stupirsi se oggi la Sicilia venga considerata una delle mete turistiche più sicure al mondo.
Se non si trattava di Mafia allora cosa ha visto e chi ha incontrato il nostro viaggiatore? Si trattava semplicemente della scorta di un politico o addirittura di un giudice antimafia. In particolare nei dintorni del Palazzo di Giustizia di Palermo o attorno alla sede della Regione Siciliana, luoghi in cui si muovono i principali oppositori del sistema mafioso, di scene del genere se ne possono vedere in continuazione.
Nei paragrafi successivi cercheremo di rispondere ad alcune delle tipiche domande sulla Mafia che chi arriva in Sicilia potrebbe porsi, cominciando dall'argomento più importante, l'inizio della fine della Mafia.
Le informazioni in questa pagina provengono dalla nostra esperta della Sicilia Britta Bohn.
Britta si occupa della vita quotidiana e della vita in Sicilia da oltre 20 anni.
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Palermo, 23 maggio 1992.
Una giorno da favola.
Di un fine settimana.
Anche per il giudice Giovanni Falcone.
O almeno così sembrava.
Giovanni Falcone e i suoi collaboratori erano riusciti negli anni '80 nell'impresa di scardinare e far luce sulle strutture interne della Mafia siciliana, guadagnandosi così l'indesiderabile attenzione di tutto l'apparato criminale.
Per la prima volta infatti nessuno era più libero di affermare che la Mafia non esistesse, o che fosse solo folklore o qualcosa di antidiluviano. O addirittura il prodotto della fantasia di scrittori e registi che volevano infamare il nome della Sicilia con storie mendaci come quella del "Padrino".
Di scuse o storielle simili fino ad allora i Siciliani se n'erano raccontate un'infinità, adesso però era impossibile negare l'evidenza, tutto era finito. E finito era anche il tempo della libertà per i mafiosi. Falcone e i suoi riuscirono infatti già nel 1986 ad arrestarne più di 400 contemporaneamente e a farli accomodare davanti ad un giudice, dal quale ricevettero tutti lunghissime pene detentive.
Ma si trattava solo dell'inizio. Si proseguì infatti colpo su colpo. Sempre più affiliati si rivolgevano al giudice Giovanni Falcone e approfittavano del generoso programma testimoni che questo offriva e di conseguenza sempre più mafiosi si ritrovavano dietro le sbarre.
Per tutti loro la Mafia si vendicherà in quel funesto 23 maggio 1992. Collocarono proprio sotto l'autostrada un'enorme bomba che fecero scoppiare al passaggio dell'auto di Falcone. Nonostante quest'ultima fosse blindata, morirono tutti, il giudice, la moglie e la scorta. L'immagine in alto mostra il monumento commemorativo eretto sul tratto autostradale. Chi viaggia in Sicilia lo noterà sicuramente spostandosi dall'aeroporto di Palermo verso la città.
Palermo, 19 luglio 1992
Come ogni domenica il giudice Paolo Borsellino soleva far visita alla madre in via d'Amelio a Palermo. Una breve pausa dalla sua estenuante attività quotidiana.
Paolo Borsellino è amico di gioventù e collega di Giovanni Falcone, sono uno complemento dell'altro. Non stupisce quindi che anche lui fosse entrato nel mirino della Mafia già da tempo.
Quella domenica i suoi assassini approfittarono delle abitudini del giudice e uccisero lui e la sua scorta con una devastante autobomba.
Lo spezzone del film mostra veri e propri scenari di guerra, come quelli che siamo abituati a vedere oggi in Medio Oriente. Ma ancora più impressione fa vedere il Capo dei due Giudici, ancora sul luogo dell'attentato, affermare che quella volta la Mafia aveva trionfato una volta per tutte.
La realtà risultò invece e per fortuna molto diversa. l narratore del film non potrebbe dirlo meglio "Questa è la goccia che fa traboccare il vaso".
Il film è uscito nel 2009 e descrive la situazione fino alla fine degli anni '90 circa. I nuovi Boss menzionati alla fine del film sono stati nel frattempo arrestati e scontano la loro pena dietro le sbarre. Ma la cosa più importante è che la rivolta della società civile cominciata allora non si sia mai arrestata. Di questo ci occuperemo nel prossimo paragrafo.
Palermo, 29 giugno 2004
Un paio di giovani socialmente impegnati elaborano un'idea:
"Che ne pensate di aprire un locale?
Che cosa vogliamo offrire?
Dove possiamo trovare gli spazi?
Ma un attimo, aspettate!
Cosa facciamo se LORO vengono?"
Con LORO i nostri giovani intendevano la Mafia, corollario immancabile per ogni attività commerciale che vada bene: ne potrebbero capitare di cose senza alcuna protezione... Ma niente paura, con un piccolo importo, il famoso "pizzo", si può evitare tranquillamente tutto. Quella del racket era (ed in parte resta ancora oggi) una delle principali fonti di reddito per le famiglie mafiose locali.
La frustrazione si diffondeva tra i nostri giovani. Ma anche la rabbia! Che invece di desistere li portò nel giro di una notte soltanto a ricoprire il centro storico di Palermo di volantini: la mattina del 29 giugno 2004 agli occhi dei palermitani balzava evidente lo sfogo d'ira dei nostri giovani:
"Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità"
L'eco mediatico fu enorme e la resistenza della società civile contro la Mafia crebbe sempre più. I nostri giovani, rincuorati dalla reazione popolare, escogitarono qualcosa di nuovo: fondarono l'iniziativa anti-racket "Addiopizzo". Nell'immagine in alto possiamo vederne il simbolo attaccato sulla vetrina di un negozio. Se farete acquisti in negozi come questo sarete sicuri che neanche un centesimo dei vostri risparmi finirà nelle tasche della Mafia.
Palermo, 8 marzo 2008
Fabio Messina apre il suo negozio "Emporio Pizzo Free". Fabio è un veterano attivista del movimento Addiopizzo e, com'è logico attendersi, anche la sua attività, come altre 800 in Sicilia, fa parte di Addiopizzo. Lui come gli altri ha deciso di non pagare.
E non solo, l'Emporio Pizzo Free si è infatti spinto ancora più in là: la merce trattata proviene unicamente da coltivatori che hanno aderito all'iniziativa Addiopizzo.
Ne costituiscono un ottimo esempio i vini di "Libera Terra", un'organizzazione che produce vini e altri prodotti agricoli dalle terre confiscate alla Mafia. In questo modo si è assolutamente certi che tutta la filiera produttiva, dal produttore al consumatore, sia priva di qualsiasi contaminazione mafiosa.
Trapani, 3 aprile 2013
"1,3 miliardi di Euro:
inquirenti italiani confiscano proprietà della Mafia"
Così lo Spiegel, famosa rivista di approfondimento politico e sociale tedesca, descriveva un duro colpo inferto dalla Giustizia italiana alla Mafia.
La confisca era diretta a Don Vito, non quello del "Padrino" naturalmente, bensì a Vito Nicastri, divenuto famoso nel trapanese come "re dell'eolico", un mafioso moderno insomma.
Come molti altri, la Mafia infatti oggigiorno non si occupa più di far affari soltanto in droga e armi, ma mira soprattutto a truccare appalti per assicurarsi le cospicue sovvenzioni che gravitano attorno al settore dell'ambiente e delle fonti di energia rinnovabili. Pochi anni fa, ad esempio, saltò fuori che il più rinomato produttore siciliano di vini biologici facesse anche lui affari con la Mafia. Per fortuna adesso sia il re del vino che quello del vento riflettono sulle loro malefatte dietro le sbarre.
E non solo, oltre alla galera hanno pure dovuto fare i conti con la più efficace delle armi che la Giustizia ha al suo arco: la confisca di beni e proprietà. Se poi questi consistono in terreni, vengono donati alla già citata iniziativa di Libera Terra, grazie alla quale il vino non è soltanto libero da agenti chimici ma anche da qualsivoglia inquinante mafioso.
Il video a destra mostra un estratto del film Corleone, che narra le vicende di due giovani amici, uno diventato agricoltore e l'altro capo Mafia di Corleone, dopo aver per l'appunto ucciso il suo vecchio amico. Da questo punto in poi comincia l'ascesa del Padrino.
Il breve estratto, al di là dell'effettiva trama del film, ci consente anche di scorgere quelle che potremmo definire le radici della Mafia, incarnate dai tre protagonisti principali:
Il contadino (che nel breve estratto guida la protesta), i gabellotti (accessoriati di coppola e lupara) e l'uomo d'onore (che entra in scena all'interno della sua carrozza).
La protesta parte da una delle più annose questioni in Sicilia: la terra. Fino a poco tempo fa questa era infatti unicamente proprietà dell'aristocrazia e i contadini che la lavoravano erano braccianti senza terra pagati a giornata, costretti a recarsi ogni giorno nella piazza principale di Corleone e sperando di avere la possibilità di lavorare.
Naturalmente della scelta dei lavoratori non si occupava il Barone in persona, a farne le veci erano infatti i cosiddetti "Gabellotti" (la gabella era il dazio o l'imposta), sempre circondati da altri aiutanti armati, chiamati "Campieri".
Negli anni '60 dell'Ottocento, gli addetti all'amministrazione pubblica, spediti in Sicilia dal governo del Regno da poco formatosi, riferiscono di strane organizzazioni che detenevano il controllo su intere località e che venivano chiamate "Mafia". I loro capi erano i Gabellotti e la loro fanteria era composta dai Campieri.
A questo punto, i lettori appassionati di storia si staranno chiedendo come mai questo tipo di Mafia sia sorta solo in Sicilia mentre il Feudalesimo è stato un fenomeno che ha invece interessato l'Europa intera. Come è avvenuto il passaggio da fattori a capimafia?
Gli storici non potranno mai rispondere con assoluta certezza a questa domanda, in fondo quando parliamo di Mafia parliamo pur sempre di un'organizzazione segreta; è però possibile provarci partendo dalle condizioni che ne hanno favorito lo sviluppo:
Il film descrive perfettamente come l'aristocrazia sia stata essa stessa causa della propria decadenza. E descrive anche chiaramente il principio base del potere mafioso: la violenza. Purtroppo come quest'ultima e soprattutto i suoi eccessi abbiano a loro volta decretato la fine della Mafia stessa, il film non ce lo spiega.
Ci pensa però una statistica sulla criminalità dell'Unione Europea a farlo: oggigiorno la probabilità di essere vittima di un omicidio in Finlandia è due volte più alta rispetto alla possibilità che ciò si verifichi in Sicilia. Chi sarebbe stato tanto ottimista trent'anni fa?
Che domanda sciocca!
Chi può volere omicidi e attentati?
Eh, già! Purtroppo però la Mafia non si limita a questo, ma ne combina di ogni, quotidianamente.
Film come "Il Padrino" e "Corleone" ci forniscono una descrizione della Mafia piuttosto dettagliata, ma in noi rimane comunque forte il dubbio di come fare a riconoscerla. Chi ha la giusta conoscenza culturale per scorgere le sottigliezze di questo mondo?
Cosa è invece facile da riconoscere e resta impresso nella memoria? Esatto, omicidi e attentati! Altrettanto evidenti e ben descritti dai film sono anche gli sporchi traffici della Mafia, ossia quelli di uomini, armi o droga. Particolarmente interessanti sono le interviste con gli ex capimafia oggi pentiti.
Nei paragrafi successivi ci occuperemo di tre esempi in apparenza meno drammatici ma che in realtà comportano molti più danni di quelli causati dalle faide tra mafiosi. Perché la Mafia...
Per preparare una buona pizza c'è bisogno di pasta, lievito, salsa di pomodoro, mozzarella e, secondo i gusti, di condimenti.
Adesso immaginate di essere voi i proprietari di una pizzeria.
Naturalmente uno dei vostri obiettivi principali sarà quello di ottenere i migliori ingredienti al prezzo più basso. Perché, come ogni buon commerciante sa, il guadagno sta nel contenimento delle spese.
Vi ritroverete così a dover operare una scelta obbligata tra i fornitori in concorrenza fra loro. Se ce ne fosse uno soltanto, pagherete ad un prezzo più alto merce qualitativamente non eccellente. E sarete in balia di quello che viene definito un regime di monopolio, il primo nemico di ogni libera economia di mercato e che organi come la Commissione Europea per la concorrenza e la Commissione Federale per il Commercio degli Stati Uniti cercano di combattere.
E proprio negli Stati Uniti venne scoperto negli anni '70 un monopolio attorno agli ingredienti per la pizza. Chi c'era dietro? Naturalmente la frangia americana della Mafia siciliana! Potrebbe sembrare una banalità stereotipata, si trattava invero di un enorme mercato che aveva conseguenze drammatiche sia per i fornitori che per i consumatori, ai quali poteva capitare non raramente di trovare carne avariata sulle loro pizze.
Vi ricordate ancora dei nostri giovani di Addiopizzo?
Volevano aprire un locale ma avevano paura che qualcuno venisse a chiedergli il "pizzo".
Immaginiamo per un attimo che avessero effettivamente aperto un locale, riscosso successo e pagato il pizzo. Forse starete pensando "Beh, non sarà giusto, ma se le cose vanno bene si può anche sopportare..." E in effetti in Sicilia quando lo si chiama "pizzo" (da punta, margine), non si fa altro che minimizzare il problema, come se si rinunciasse a qualcosa che non serve, ma in realtà il "pizzo" è molto di più.
Ne sanno qualcosa i proprietari del ristorante "Antica Focacceria San Francesco" di Palermo. Tutto cominciò con delle richieste apparentemente innocue per ricevere gratis il cibo e finì con la totale infiltrazione mafiosa nell'attività. I proprietari non erano più liberi di scegliere chi assumere né da chi ricevere la merce.
Chi avrebbe ancora voglia di sviluppare e realizzare le proprie idee a certe condizioni? O di ristrutturare il proprio locale? O allargare la propria offerta? O aprire persino una filiale? Quasi nessuno.
Ed infatti anche per i proprietari dell'Antica Focacceria San Francesco si presentò il momento di scegliere tra chiudere una volta per tutte il locale o cercare di combattere la Mafia. Scelsero con coraggio, e fu il primo esercizio di Palermo a farlo, la seconda via, che portò fortunatamente all'arresto dei loro estorsori e cambiò per sempre anche la vita dei proprietari, che da allora vivono sotto scorta.
Nonostante ciò il loro esempio venne presto imitato e adesso ammonta quasi a 100 il numero degli imprenditori che li hanno seguiti. Questi hanno inoltre fondato l'iniziativa "Libero Futuro" che ha come principale obiettivo quello di aiutare altri imprenditori a tirarsi fuori dalla palude della Mafia.
Secondo voi,
quanto dura il viaggio in treno da Catania a Palermo, una tratta di 300 km?
Ci si dovrebbero impiegare all'incirca 3 ore, no?
Sbagliato, e di molto. Ce ne vogliono infatti più di 5! Non stupisce perciò che le persone preferiscano i pullman.
Questi infatti riescono a coprire la distanza di 200 Km tra le stazioni centrali di Catania e Palermo in circa due ore e mezzo.
La lentezza di Trenitalia è da attribuire alla mancanza del doppio binario su larga parte della tratta. Un deficit che, eccezionalmente, non è di diretta responsabilità della Mafia, ma soltanto uno dei molti esempi di sottosviluppo che si possono ancora riscontrare in Sicilia.
Come il sorprendente fatto che nel XIX sec. il 70% del fabbisogno mondiale di zolfo venisse coperto dalla produzione siciliana. Rapporti di viaggio del tempo riferiscono di condizioni di lavoro raccapriccianti. Poi però negli Stati Uniti vennero sviluppati nuovi metodi di estrazione dello zolfo dal sottosuolo.
Così, mentre negli Stati Uniti il lavoro cresceva, in Sicilia veniva perso, perché troppo costoso per essere sostenibile: i lavoratori pagavano infatti alla Mafia le gabelle e i proprietari delle miniere le versavano il pizzo, tutti costi inesistenti negli Stati Uniti.
Di libri sulla Mafia siciliana ne esistono una marea. Tutti descrivono i Mafiosi e i loro atti criminali con estrema crudezza.
Naturalmente ciò non viene risparmiato al lettore neanche dal libro di Leoluca Orlando, anche se la sua attenzione è maggiormente puntata sulla battaglia antimafia condotta dalla società civile.
Lotta capeggiata da Orlando stesso negli anni '80 e '90 come sindaco della città di Palermo. Nel suo libro "Leoluca Orlando racconta la Mafia", descrive la riconquista di Palermo da parte della Mafia.
Questo breve estratto della prefazione chiarifica bene la posizione di Leoluca Orlando:
"Quindi provavamo contemporaneamente, dato che coraggiosissimi giudici e uomini di Stato erano morti per far trionfare la Giustizia, a condurre una vita da cittadini e a riappropriarci di simboli quali il Teatro Massimo, ad aver il controllo sulla politica, dopo generazioni di collusione e corruzione, e, cosa più importante di tutte, a reclamare per i nostri figli il loro futuro. Insieme agli spazi pubblici infatti, la Mafia si era infiltrata nel sistema dell'educazione, non soltanto perché consapevole che la chiave del suo potere consistesse nel mantenere le persone ignoranti, ma anche come ingente fonte di guadagno. Mettevamo fine alla vergognosa pratica di affittare locali scolastici da prestanome mafiosi. Rendevamo la lotta alla Mafia parte integrante del programma scolastico. Coinvolgevamo i più piccoli nel nostro lavoro grazie al programma 'La scuola adotta un monumento'. Rimuovere la sporcizia da questi monumenti significava per i bambini ripulire la città dal sudiciume spirituale che vi si era depositato durante anni e anni di dominazione criminale."
Leoluca Orlando è stato inoltre rieletto sindaco di Palermo nuovamente nel 2012, con più del 70% dei consensi. Oggi tuttavia non deve fare i conti con l'eredità mafiosa, ma con il lascito del suo predecessore berlusconiano Diego Cammarata, che aveva amministrato così male la città, al punto che questa ha dovuto essere commissariata per potere risollevarsi.