A prima vista Corleone sembra soltanto uno fra i tanti piccoli paesi della Sicilia. Perché allora vi si incontrano così tanti turisti? Semplice, per via del nome, è quello che continua ad attirare migliaia di curiosi ogni anno: Corleone infatti è il cognome della famiglia al centro della vicenda del celeberrimo romanzo e film "Il Padrino".
Chiaramente non è un caso: Corleone, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, era infatti una roccaforte della Mafia siciliana e veniva considerata una fra le città più pericolose al mondo.
Oggi invece Corleone si presenta come una cittadina tranquilla, quasi noiosa, e se non ci fossero baristi del centro a pubblicizzare i prodotti associati al "Padrino", sarebbe veramente difficile, soprattutto per chi arriva da fuori, scorgere un nesso tra il presente e il passato. Tuttavia, se cercherete di approfondire la conoscenza dell'odierna Corleone, noterete subito che il tema "Mafia" è come allora piuttosto presente, in una nuova forma però, quella dell'Antimafia.
Le informazioni in questa pagina provengono dalla nostra esperta della Sicilia Britta Bohn.
Britta si occupa della vita quotidiana e della vita in Sicilia da oltre 20 anni.
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Corleone si trova direttamente sulla Strada Statale SS118 (linea blu della cartina in alto). La SS118 si dirama presso Bolognetta dallo scorrimento veloce tra Palermo e Agrigento (SS121/SS189). Da Palermo si impiegano circa tre quarti d'ora per raggiungere Corleone. Chi arriva da Agrigento dovrà servirsi della SS118.
Chi desidera visitare il centro di Corleone dovrà entrare in città da nord attraverso la via Giuseppe Verdi. Da qui dovrete proseguire per appena un km fino ad un piccolo parcheggio che si trova in prossimità del parco comunale (punto 1 nella cartina in alto).
Chi al contrario desidera ammirare soltanto la cascata, dovrà svoltare in via Napoli dove troverà dopo soltanto 200 m un piccolo parcheggio (punto 9).
Dal parcheggio in prossimità del centro soltanto pochi passi vi separano dalla prima sorprendente attrazione della città (considerate che si tratta di un piccolo paese di appena 11 mila abitanti): il parco comunale di Corleone (punto 2 nella cartina in alto). Con un'ampiezza di addirittura 4000 metri quadri potrebbe essere definito il "Central Park" della città.
A differenza di New York però, Corleone non è che avesse proprio bisogno di un polmone verde, già all'arrivo degli Arabi nel IX sec. era infatti una delle roccaforti dell'agricoltura siciliana. Uno sguardo alle immagini via Satellite nella cartina in alto vi mostra come la situazione non sia di molto cambiata.
Corleone si trova inoltre a soli 10 km di distanza dalla Riserva naturale di Bosco Ficuzza. Naturalmente il parco e la riserva non sono minimamente paragonabili, il nostro consiglio è perciò di visitarli entrambi. Per i visitatori di Corleone la visita al parco è in fin dei conti il miglior approccio possibile alla città, che vi permetterà di unire l'utile al dilettevole, all'ingresso troverete infatti un ufficio turistico ricco di informazioni sulla città (punto 3 nella cartina in alto).
Percorrendo il centro di Corleone i visitatori si imbatteranno ben presto nella piazza principale del paese, Piazza Nascè (punto 4 nella cartina in alto). Il nome fa riferimento a Francesco Paolo Nascè, un letterato corleonese del XVIII sec.
Si è occupato essenzialmente della modernizzazione del siciliano, non c'è perciò da stupirsi se fuori dalla Sicilia sia noto soltanto agli specialisti del settore. Ad ogni modo, il suo particolare campo di specializzazione gli fece guadagnare una cattedra all'Università di Palermo.
Piazza Nascè è comunque molto più conosciuta come simbolo del feudalesimo siciliano. La piazza delimitava in passato il confine fra la città ed i latifondi circostanti. I gabellotti si presentavano qui la mattina per assoldare braccianti per il lavoro nei campi.
Di agricoltori senza terra ce n'era una moltitudine. E purtroppo dovettero aspettare la conclusione della Seconda Guerra Mondiale perché una riforma agraria restituisse loro un po' di speranza. Oggi, fortunatamente, a Piazza Nascè non si incontrano più né contadini bisognosi, né gabellotti mafiosi.
Proprio di fronte al parco troviamo la Piazza Garibaldi, il cuore del centro storico di Corleone (punto 5 nella cartina in alto). E come succede in quasi tutte le piccole città siciliane, la piazza principale è quella che ospita il municipio, la chiesa e naturalmente anche un bar.
E' in particolare quest'ultimo a sfruttare spudoratamente a proprio favore i cliché della Mafia: sulla parete accanto all'ingresso campeggia infatti la grande immagine di una scena tratta dal "Padrino", e, ovviamente, non una scena qualsiasi.
L'immagine ritrae il giovane Michael Corleone (Al Pacino) durante la sua prima visita in Sicilia, bello impettito con lo schioppetto sulla spalla – come nel video all'inizio della pagina. Il proprietario del bar è proprio un genio del marketing, in quanto offre al turista medio in Sicilia, proprio ciò che si aspetta di trovare. Nonostante il film, ad esser presici, non sia stato nemmeno girato a Corleone.
A piazza Garibaldi, tuttavia, c'è anche chi prende le cose un tantino più sul serio: nel 2012, infatti, l'intero consiglio comunale ha chiesto pubblicamente scusa per il passato mafioso della propria città.
Come già abbiamo avuto modo di notare in relazione a Piazza Garibaldi, oggi "Mafia" a Corleone ha due distinti significati: da un lato lo sfruttamento dei cliché mafiosi per cercare di attirare turisti e dall'altro l'opportunità di elaborare i drammi del passato legati alla Mafia.
Del secondo aspetto si occupa il Museo della Mafia (CIDMA, Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia e del movimento Antimafia), distante appena pochi metri da Piazza Garibaldi. Il Museo è essenzialmente costituito da due parti. La prima si occupa di analizzare scientificamente la criminalità organizzata in generale.
La seconda si rivolge invece ai visitatori e mira fondamentalmente alla diffusione di due messaggi: il primo è Mafia = terrore, ed è veicolato attraverso foto e immagini di Corleone e Palermo risalenti agli anni '70 e '80, talmente cruenti che potrebbero farci pensare a scene di guerra stile Medio Oriente.
Il secondo messaggio è stipato in grandi scaffali zeppi di atti giudiziari. Quelli del cosiddetto Maxi-processo, il più grande colpo che la giustizia abbia mai inferto alla Mafia nella prima metà degli anni '80. In un colpo solo vennero infatti arrestati quasi 400 associati all'organizzazione e destinati al carcere di massima sicurezza. Il messaggio è chiaro: il sistema della Giustizia può combattere la Mafia con successo.
Detto ciò, se non volete intristire le vostre vacanze con queste angoscianti storie del passato siciliano, vi consigliamo vivamente di passare dal Museo della Mafia e proseguire poi per il centro cittadino, facendovi stupire dalla rinnovata atmosfera conviviale di Corleone.
A pochi metri di distanza dal Museo della Mafia si trova il vecchio ospedale di Corleone (punto 7 nella cartina in alto), una struttura da poco convertita in centro culturale. Sappiamo che solitamente gli ospedali sono l'ultimo posto in cui ci si vorrebbe trovare in vacanza, ma questo vi incuriosirà, per il suo particolare passato legato alla Mafia Corleonese.
La cui oscura fama deriva proprio da uno stimatissimo medico corleonese, Michele Navarra. Stima guadagnata soprattutto dal modo in cui agiva per far valere i propri interessi, a dir poco brutale. Prendiamo ad esempio la sua promozione come direttore dell'ospedale: nel 1946 assassinò il suo superiore per prenderne il posto.
L'ospedale divenne così un vero e proprio covo regolarizzato della Mafia, tant'è che durante i lavori di ristrutturazione venivano e vengono tuttora ritrovate armi nascoste. Non c'è perciò da stupirsi se in un tale clima di violenza ci si ritrovi un giorno con una pallottola nel petto: Michele Navarra venne infatti giustiziato nel 1958 da due giovani rivali mafiosi, che iniziarono così la loro scalata all'interno della gerarchia mafiosa, per diventare poi i simboli internazionalmente conosciuti della Mafia: parliamo di Salvatore, detto Totò, Riina e Bernardo Provenzano. Due nomi che hanno segnato profondamente l'immagine della Sicilia nel mondo, e, non in positivo.
Nel 1993 e nel 2006 rispettivamente i due sono stati assicurati alla giustizia: Riina e Provenzano hanno nel frattempo superato gli 80 anni e trascorrono i loro ultimi giorni in un carcere di massima sicurezza.
Accanto alle classiche azioni penali la Giustizia siciliana usa anche un'altra efficacissima arma per combattere la Mafia: la confisca dei beni e delle proprietà mafiose, il cui principale obiettivo è quello di privare il tessuto mafioso residuo di importanti mezzi finanziari. Le proprietà sequestrate vengono poi messe a disposizione di qualsivoglia iniziativa antimafia.
La più famosa è sicuramente quella condotta dal Don Luigi Ciotti, che ha fondato nel 1995 "Libera". Da allora numerosissimi terreni e vigne tra Palermo e Corleone sono stati restituiti alla legalità e i prodotti che se ne ricavano vengono commercializzati in tutta Europa sotto il marchio Libera Terra.
Naturalmente un punto vendita si trova anche a Corleone, la Bottega della Legalità (punto 8 nella cartina in alto). Come si può intuire dal nome, anche questo edificio è un bene confiscato alla Mafia, e nientemeno che proprio al celeberrimo Bernardo Provenzano. Provatene i prodotti, avrete così la certezza di acquistare qualcosa prodotto e distribuito legalmente al 100%, e aiuterete altresì il movimento Antimafia corleonese.
Abbiamo iniziato il nostro viaggio a Corleone parlando di natura e allo stesso modo vogliamo terminare. Vicinissimo al margine orientale della città si profila un monte, la "Montagna Vecchia".
Come in tutte le montagne siciliane, anche qui durante l'inverno si accumula moltissima acqua. E come la montagna cade, o meglio sembra cadere, a precipizio sulla vicina Corleone, allo stesso modo fa l'acqua (punto 10 nella cartina in alto).
In passato quest'acqua veniva utilizzata per azionare un mulino, la cui presenza era dovuta alla cospicua produzione agricola della zona e che permetteva a Corleone di produrre non soltanto grano e frumento, ma anche farina.
Questi cereali vengono coltivati ancora oggi a Corleone, tuttavia la cascata serve adesso un altro settore dell'economia, quello turistico. La cascata è davvero uno spettacolo molto affascinante a cui assistere e rappresenta sicuramente un buon motivo per visitare la Sicilia in inverno.
Dirigendovi verso Corleone vi ritroverete immersi in una delle più belle riserve naturali della Sicilia, la "Riserva Naturale Orientata Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago" (punto 11 nella cartina in alto).
Per comodità da adesso la chiameremo semplicemente Riserva naturale di Bosco Ficuzza, proprio come la piccola comunità montana che si trova al cuore della stessa, caratterizzata da un'enorme reggia che testimonia il fascino che da sempre questo luogo ha esercitato sui suoi visitatori.
La reggia venne costruita alla fine del XVIII sec. per il re del Regno di Sicilia. La scelta del luogo che avrebbe ospitato questo gioiello architettonico non è affatto casuale: il delicato saliscendi che offre il paesaggio di questa foresta era infatti perfetto per le cavalcate del re, né troppo impervio (e per questo proibitivo), né troppo pianeggiante (e di conseguenza noioso).
E proprio per questo Ficuzza è il posto perfetto per tutti quei visitatori che, pur non avendo doti ed esperienza da alpinisti, desiderano dedicarsi ad una tranquilla escursione nella foresta. Ma anche i più esperti troveranno a Ficuzza qualcosa che stimoli loro l'adrenalina, la Rocca Busambra. Per scalare questa vetta di 1600 m infatti, oltre a non dover soffrire di vertigini, vi sarà indispensabile l'uso di bastone e stivali.
E non finisce qui, quelli che infatti non considerano soddisfatta la propria voglia di avventura possono infatti aggregarsi al gruppo del canyoning dell'Associazione Alpinistica Siciliana e precipitarsi lungo la cascata della "Gola del Drago". Per farlo però è necessario recarsi sul posto in inverno o nella prima primavera. Il perché e molte altre informazioni su ciò che vi aspetta a Ficuzza le trovate qui.
Tra Ficuzza e Corleone vi consigliamo di fare una piccola deviazione nella campagna circostante che non vi deluderà affatto. Al punto 12 nella cartina in alto vi ritroverete infatti improvvisamente davanti ad una chiesa.
Attorno a questa però non c'è alcun paese, soltanto campi e prati a perdita d'occhio. Come mai allora questa chiesa si trova proprio qui?
Il terreno in cui si trova era in passato il feudo "Strasatto". Quest'ultimo, nel 1800 circa, venne preso in affitto da un allevatore di bestiame di nome Lo Jacono, che un giorno incaricò i figli di costruire un ovile proprio lì.
Questi si misero subito al lavoro e cominciarono a trasportare materiale sul posto, quando, proprio lì dove si trova la chiesa adesso, trovarono una grande pietra quadrata con sopra l'effige della Maria del Rosario. Costruirono allora delle fondamenta su cui posizionare la pietra e un recinto tutto intorno, quando si accorsero che lì, in un ambiente precedentemente arido e brullo, cominciò a sgorgare una sorgente dall'acqua purissima.
E non è tutto, come si sarebbe presto rivelato, l'acqua non era soltanto pulita, ma anche curativa. Salvò infatti un intero gregge che alcuni giorni dopo la scoperta della fonte era stato colpito da una violenta epidemia. Ne era al corrente anche il re che, afflitto da un dolore al ginocchio, si reco alla fonte e pregò, bevve, si rialzò e, guarito, fece ritorno alla sua reggia. Successivamente, per dimostrare la sua gratitudine destinò al nuovo santuario, tutelato dall'arcivescovado di Monreale, addirittura 20 ettari di terra.
Il re inoltre, cercando di perseguire precisi obiettivi politici, promise al santuario i resti del feudo Tagliavia. Il re i suoi obiettivi li raggiunse e il santuario accrebbe così il suo territorio di altri 60 ettari. Contemporaneamente il re promosse la costruzione di una prima chiesa. Anni dopo, l'1 Maggio 1845, venne inaugurato l'attuale "Santuario della Madonna di Tagliavia".
Alla parte iniziale della storia potete credere o meno. Ma che il re abbia donato all'arcivescovado di Monreale 80 ettari di terra è un fatto dimostrato da carteggi notarili. E che tutto ciò abbia infine portato alla costruzione di un santuario, bè potete verificarlo coi vostri stessi occhi.
In passato il santuario era affidato alle cure di monaci che vivevano vicino la chiesa. Oggi tale compito è stato assunto dall'associazione Cinque Pietre, della quale possono far parte anche le suore. Le "Cinque Pietre" si riferiscono tra l'altro a Francesco d'Assisi, il protettore degli animali. Doveste perciò imbattervi in un cane o un asino sulle scale che portano alla chiesa, sappiate che non è un caso.
Di ritorno dalla visita a Corleone pensate bene di concludere la giornata con una succulenta pasta alla carbonara.
Ma da dove arrivano effettivamente gli ingredienti per prepararla?
Nel migliore dei casi li avete acquistati alla Bottega della Legalità a Corleone. La vostra pasta però non è mica cresciuta sugli scaffali, ma è un prodotto dell'agricoltura, l'unica vera responsabile di ciò che troviamo nel nostro piatto.
Purtroppo però l'agricoltura in Sicilia non è legata soltanto al cibo, ma anche a qualcosa di molto diverso: la Mafia. Mentre in tutta Europa a partire dal XVIII sec. infatti il feudalesimo lentamente scompariva, i Baroni siciliani si aggrappavano ancora ostinatamente ad esso. E non soltanto, affidavano la gestione della Terra ai Gabellotti, persone per nulla interessate alla modernizzazione dell'agricoltura ma che approfittavano solamente della moltitudine di contadini senza terra. Questi naturalmente cercavano di ribellarsi al loro destino, anche con la violenza, ma poco o nulla potevano fare contro le guardie dei Gabellotti, i famigerati "Campieri", riconoscibili dai loro immancabili accessori: coppola e lupara.
Uno che voleva porre fine a tutto ciò, anche se ovviamente non per fini filantropici, era Mussolini. Ciò che lo spingeva a combattere la Mafia erano fondamentalmente le proprie mire di potere e l'obiettivo non secondario di procurare maggiori derrate alimentari per le campagne in Africa.
Per cercare di limitare il potere mafioso nominò innanzitutto come prefetto il severissimo Cesare Mori. Per promuovere invece l'agricoltura decise di affidare i terreni inutilizzati ai contadini senza terra, per i quali vennero addirittura fondati dei nuovi borghi. Uno di questi, Borgo Schirò, si trova proprio alle porte di Corleone.
Come ben sappiamo oggi però, i provvedimenti di Mussolini non erano poi così efficaci e duraturi, subito dopo la sua caduta infatti la Mafia impiegò molto poco per riprendersi e i borghi di Mussolini divennero veri e propri paesi fantasma. Nel video in alto potete vedere lo stato attuale di Borgo Schirò, un luogo che dopotutto ha visto muovere i primi passi del movimento Antimafia.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la battaglia di Mussolini alla Mafia non ebbe molto successo, anzi, tant'è che Corleone, dopo la seconda guerra mondiale, divenne una delle roccaforti della Mafia siciliana.
I Capi dei Capi erano dagli anni '60 tutti Corleonesi. Prevalsero con brutale violenza sulle famiglie mafiose palermitane e così facendo si scavarono la fossa con le proprie mani.
Se in precedenza infatti la Mafia veniva liquidata come folklore, adesso lo Stato si vedeva costretto a farci i conti. La Mafia reagì come era suo costume: numerosissimi attentati vennero perpetrati nei confronti di poliziotti, giudici e magistrati, in una escalation di violenza che portò addirittura all'intervento dell'esercito.
Parallelamente vennero approntate nuove normative per i supertestimoni ed elaborati dei programmi di protezione degli stessi. Erano queste le scappatoie a disposizione dei mafiosi che volevano sottrarsi ad un destino ormai certo. Questi pentiti rappresentavano quindi l'arma più importante ed efficace dell'Antimafia, che grazie alla loro collaborazione è riuscita a far un po' di luce sulla segretissima organizzazione di "Cosa Nostra". Una delle principali leggi della Mafia, l'omertà, cominciava a vacillare.
Il simpatico vecchietto nella foto in alto se ne era reso conto. Si chiama Bernardo Provenzano ed è stato l'ultimo Capo dei Capi Corleonesi. Nel video potete vedere il suo arresto, avvenuto l'11 Aprile del 2006. Non fatevi però ingannare, quel vecchietto non merita granché di compassione. Prima di rendersi conto che la Mafia con i suoi eccessi di violenza aveva danneggiato più che altro se stessa, Provenzano aveva infatti fortemente promosso la strategia terroristica. Adesso trascorrerà il resto della sua penosa vita come pluriomicida in un carcere di massima sicurezza.
Nel caso in cui vi venisse voglia di visitare il luogo del suo arresto (punto 14 nella cartina in alto) ci preme avvertirvi: il posto è una noia mortale. Potrete soltanto vedere il casale e l'ovile mostrati nel video in alto. Lì viveva il multimilionario e Capo dei Capi Bernardo Provenzano, roba da non credere! Ad ogni modo, oggi milionario non lo è più, i suoi beni sono infatti stati confiscati.
Don Vito Corleone. Naturalmente non è un caso che Mario Puzo abbia scelto proprio questo nome per il protagonista del suo romanzo.
Per scriverlo si sarà certamente documentato e nel farlo sarà probabilmente incappato nel nome Corleone, il paese che negli anni '60 era una delle maggiori roccaforti della Mafia vera.
Era quindi del tutto logico chiamare una famiglia mafiosa "Corleone", nonostante nella stessa Corleone quel cognome non esistesse affatto. Per dare maggiore credibilità alla vicenda Mario Puzo immagina perciò un antecedente particolare, che nel film Il Padrino parte seconda viene raccontato così: nel 1901 un certo Antonio Andolini aveva osato mancare di rispetto al boss di Corleone, Don Ciccio, pagando l'oltraggio con la vita. Il figlio di Antonio, Paolo, aveva giurato vendetta e venne per questo ucciso per precauzione da Don Ciccio addirittura durante il funerale del padre.
La vedova di Antonio si rivolse perciò a Don Ciccio e lo pregò di risparmiare almeno il figlio più giovane, Vito. Ma Don Ciccio rifiutò. Alla madre perciò non restava che una possibilità: colpì alla gola Don Ciccio con un coltello e riuscì così a far guadagnare un po' di tempo al figlio Vito affinché potesse scappare. Per i fedeli di Don Ciccio fu naturalmente una sciocchezza respingere la donna che venne anch'essa uccisa.
Il piccolo Vito invece, con l'aiuto dei parenti riuscì a prendere una nave per l'America. Una volta arrivato ad Ellis Island, il pubblico ufficiale di turno scambiò il luogo di nascita con il cognome e così da Vito Andolini si arrivò al mitico Vito Corleone.
Effettivamente Don Ciccio avrebbe potuto impegnarsi di più per uccidere anche Vito, e il perché lo mostra il video: Vito Corleone (adesso interpretato da Robert De Niro) fa ritorno in Sicilia e incontra l'ormai invecchiato Don Ciccio.
Il resto della storia è cosa nota, morte certa.
Adesso potreste chiedervi se "Il Padrino" abbia avuto tutto questo successo grazie a questa efferatezza esagerata ma purtroppo non è così. Certo, i personaggi sono di pura fantasia, ma l'intreccio non lo è affatto. I veri Padrini di Corleone, per vendicarsi o per prevenire la vendetta di qualcun altro, hanno effettivamente sterminato intere famiglie, senza farsi il minimo scrupolo davanti a donne e bambini.
Per questo la realtà sarà sempre più cruenta della finzione. Alcuni perciò rimproverano al "Padrino", non tanto la sua efferatezza, quanto la possibile trasfigurazione del tema trattato, che porterebbe addirittura a guardare con un certo fascino ai cattivi.